Marzo 2020. L’Italia è ferma, le persone se ne stanno murate in casa. Per le strade gira un virus e ci si deve difendere.
“Moriremo tutti” mi dice la cassiera al supermercato. C’è la percezione di una catastrofe imminente. Del resto il termine pandemia richiama la visione di strage, annientamento, sterminio di proporzioni inaudite, ecatombe.
Una buona parte delle persone in questo periodo vive nel terrore, come se il virus potesse aggredirli per strada mentre vanno a fare la spesa o quando sono da soli in auto. Per proteggersi mettono la mascherina anche se non c’è nessuno vicino a loro. Come se il virus fosse nell’aria, ovunque, pronto ad attaccare.
Chi è responsabile di questo panico collettivo?
Sicuramente i mezzi di comunicazione, ma ancor di più lo stato di torpore in cui viviamo.
Quello stato di torpore che ci rende simili a pappagalli, tanto che finiamo col ripetere notizie senza prima filtrarle accuratamente. E adottiamo comportamenti privi di logica, tipo indossare la mascherina da soli in auto.
C’è una cosa oggi che è diventata ancora più preziosa dell’avere informazioni – che sono tante e troppe – ed è la capacità di argomentare in modo critico – non polemico – creativo e costruttivo. In un modo autentico ed intimo ma senza sconfinare nel sentimentalismo (che va a braccetto con l’allarmismo).
Ognuno di noi può esercitarsi nel costruire la sua versione dei fatti, la sua interpretazione della realtà. Questo è l’atto più coraggioso che oggi possiamo compiere. Per evitare l’effetto pappagallo. E per dare un senso alle nostre esistenze. Lo so, suona forte, ma è così.
Ecco il mio racconto. La mia personale visione di ciò che mi circonda:
Mercoledì 5 Febbraio 2020. Mia figlia viene operata agli occhi per una diplopia (è diventata strabica). La accompagno fino alla sala operatoria e incontro un amico che lavora come tecnico all’interno dell’ospedale. Gli chiedo come va e lui mi risponde benone ma aggiunge che ci sono problemi con le scelte aziendali. Io non capisco cosa voglia dire, gli chiedo di essere più chiaro e lui mi fa un esempio: tua figlia è stata fortunata ad essere operata oggi. Ieri il monitor non funzionava e i chirurghi non possono operare se non funziona.
Secondo episodio. Visita di controllo. Entriamo nella stanza, la dottoressa che ha operato mia figlia è al telefono e la collega ci dice di aspettare. Passano i minuti e io ascolto la conversazione. La dottoressa è evidentemente scocciata e discute continuando a ribadire la sua contrarietà a quanto le viene chiesto. “Operare non è come giocare a carte, non posso fare quello che mi chiedi”. Quando riattacca, esausta e rattristata la sua collega le dice: Dottoressa si consoli con i suoi pazienti: guardi qui che bel lavoro ha fatto: è perfetto.
La domanda che mi pongo è: se la chirurga dovesse fare più turni o magari operare più in fretta i risultati sarebbero gli stessi?
Mia figlia ha avuto una esperienza molto positiva in ospedale: professionisti competenti, gentili, rispettosi, degni di fiducia. Ha avuto la fortuna di conoscere persone che amano il loro lavoro. Ma fino a quando potrà durare? La sensazione che ho avuto a inizio febbraio è che la qualità del lavoro fosse messa seriamente a rischio da scelte discutibili da parte dei vertici.
La sanità pubblica negli ultimi anni ha subito tagli enormi, sono state chiuse strutture, eliminati posti letto, fermate le assunzioni, ridotto il personale.
Non è che il covid-19 sia la gocciolina che ha fatto traboccare un vaso già stracolmo?
Perché mettiamo così tanta attenzione sul virus e così poca sulle deficienze del sistema sanitario?
Mi tornano alla memoria le parole del dott. Samuele Ceruti, medico ospedaliero presso il reparto di terapia intensiva di una clinica di Lugano, in Svizzera, intervistato da Matteo D’amico il 16 marzo 2020.
“Facciamo un esempio. Lo stato italiano costruisce un muretto..alto così.. e poi arrivano le onde che generalmente sono fermate da questo muretto. Le onde a volte sono un po’ più alte ma generalmente questo muretto è in grado di fermarle. Poi arriva un’onda un po’ più alta – bisogna vedere se oggettivamente è più alta – sicuramente è più alta del muretto, muretto che è stato costruito male, e viene data colpa all’onda.
Quello che succede è che è arrivata un’onda un po’ più alta e chi ha costruito il muro un po’ più basso sta dando la colpa all’onda. Fuor di metafora il sistema italiano porta come numero globale di letti circa 3 letti per 1000 abitanti, la Germania 8 letti per 1000 abitanti, la Svizzera 6 per 1000 abitanti…”
Ripeto: perché mettiamo così tanta attenzione sulla pericolosità del virus e così poca sulle deficienze del sistema sanitario?
Servono davvero misure così restrittive? (Non sto dando una risposta, sto ponendo una domanda).
Quanto la paura incide sulla nostra percezione del rischio e sulla nostra salute?
Non affrettiamoci a dare risposte. Continuiamo invece a porci domande e a mettere in dubbio tutto. Anche la nostra capacità di comprensione o forse dovrei dire di decodifica dei messaggi con cui veniamo costantemente bombardati. Forse la realtà non corrisponde esattamente a ciò che ci viene mostrato.
Intervista integrale al dott. Samuele Ceruti:
http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/archivi/video/8583-coronavirus-una-vera-pandemia